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Num. 41 del 27 febbraio 2009

Il punto: SPECIALE EUTANASIA

Se si affermasse la cultura dell’eutanasia morirebbe la Speranza

Il caso di Eluana Englaro non va dimenticato. Non va dimenticata la circostanza, l’atto in se stesso ed il procedimento adottato. La chiesa ha espresso il suo più profondo disappunto, come hanno fatto esponenti della politica, medicina ed un intero governo. Eluana è morta, e ciò potrebbe indurre molti a pensare che sia stato meglio per lei. Forse si, forse no ma il problema maggiore è il rischio di aver aperto una strada definita per giungere all’eutanasia. Di questo si è parlato e parlato più volte e la posizione della chiesa pare inequivocabile. Altro fatto da analizzare, più da un profilo sociologico e psicologico riguarda la condizione della società odierna e di quella avvenire. Infatti, con la proclamazione di tali metodologie, come l’eutanasia, non solo si cancellano vite ma si mina alla radice la speranza umana. Un fatto grave, perché l’uomo senza la speranza è niente, “una canna al vento” come diceva Pascal. La speranza cristiana non è lo sforzo umano di vedere il bene dove c’è il male, ma la fiducia di superare il male, perché Dio ci viene in aiuto. Verità difficile e aspra, dunque, la speranza cristiana, perché la vita si svolge e si sviluppa in mezzo a difficoltà, contraddizioni, e fallimenti garantiti. Come sperare in queste condizioni? Certamente non ricorrendo a qualche sortilegio, ma leggendo nella storia di Cristo la linea del superamento del male e della disperazione. Qualcuno potrebbe obiettare che tutto questo è solo teorico, perché in realtà nulla è cambiato e tutto è restato come prima. Ma proprio qui si pone l’esigenza di andare oltre le parole e le rievocazioni. La speranza cristiana è il risultato del dono della grazia e quindi della presenza di Dio, di cui si fa esperienza. Se non ci fosse questa esperienza di Dio, tutto si perderebbe nelle nostre parole. Ma la speranza, come la fede, si fonda su una esperienza dell’azione di Dio, di lui stesso, che riempie la vita. Dio non è un’idea, ma una presenza viva che fa vivere e crea e suscita la fiducia. «La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Romani 5,5) ci dice San Paolo. Speranza come fede, quindi, nella salvezza di Dio. È particolarmente nella lettera ai Romani che Paolo presenta la speranza nei suoi elementi di attesa, fiducia, pazienza. È quindi indicativo il caso di Eluana in proposito alla speranza, perché proprio di quella è mancata l’essenza. Qui potremmo trovare nuove obbiezioni con chi dice che lo stato della ragazza non sarebbe mai mutato nel tempo. Ma come poter certificare questo? Partendo da un’analisi storica e dalla sua progressione nel tempo possiamo comprendere molto bene alcune dinamiche. Un persona nelle stesse condizioni di Eluana, nella prima metà del 900, sarebbe deceduta in brevissimo tempo. Macchinari per l’alimentazione o debite strumentazioni non esistevamo. Perché allora vi è una spinta propulsiva da parte dell’uomo a trovare soluzioni e metodi per impedire il decesso? Forse perché vi sono ancora uomini e persone, medici e scienziati, che credono nella salvaguardia della vita, nella sua tutela, nell’aiuto del prossimo o perché hanno semplicemente speranza. È paradossale che vengano fatte scoperte al fine di prolungare la vita in ogni condizione, mentre da un altro lato, si da alito a leggi e metodi che garantiscono la morte come soluzione definitiva. Oscura quando cruda rischia di diventare questa società non solo carente di speranza ma anche di carità. Carità cristiana che precede, assieme alla fede, proprio la speranza ci spiega San Paolo. Anche Benedetto XVI, seguendo le orme di San Paolo, affronta il tema della speranza nell’enciclica “Spe salvi facti sumus » – nella speranza siamo stati salvati. La « redenzione », la salvezza, secondo la fede cristiana, non è un semplice dato di fatto. “La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino”. Anche la filosofia ha rivolto importanti pensieri a ciò che è la speranza cristiana, cercando di darne spiegazione. Józef Tischner, filosofo polacco della seconda metà del 900, ci spiega la differenza tra due tipi di speranza e il continuo viaggiare dell’uomo. “Siamo pellegrini, cerchiamo un posto sulla terra, andiamo raminghi per il mondo come Ulisse”, che Tischner fa diventare un simbolo della speranza rivolto verso il passato. “Ulisse tornò ai posti nei quali era già stato. La sua speranza «era soprattutto memoria», aveva «la forma del cerchio». La riempivano i ricordi, non dirigeva verso il futuro, ma tendeva alla ripetizione di ciò che era. Il camminare secondo questa speranza non è niente altro che il diventare un prigioniero del passato e cadere in una malattia della speranza chiamata malinconia, in una dolorosa consapevolezza che il tempo implacabilmente porta al futuro e così allontana dal passato, da una felicità già vissuta. Però il destino dei cristiani non è il destino di Ulisse che per tutta la vita tornava là da dove era uscito. È piuttosto il destino di Abramo che andava verso la terra promessa che non aveva mai visto. La speranza del pellegrino cristiano dirige verso Dio, che non è un Dio dei ricordi e della memoria, ma un Dio della speranza, il quale viene nel futuro e con il quale l'uomo si unisce nel futuro. Il senso della vita umana non deve essere «un senso chiuso», si possono fare delle scelte. Ci sono due possibilità: «la speranza secondo la memoria» e «la memoria secondo la speranza”. La scelta della prima soluzione significa seguire Ulisse ed essa costituisce il consenso ad un senso chiuso della vita. La scelta della seconda opzione è la riflessione su ciò che è passato, è la consapevolezza del fatto che insieme alla storia e ai fatti avviene l'uomo stesso. Anche Pascal pone la speranza come punto centrale della vita cristiana. “Essere credenti, in fondo, é più facile perché si ha una speranza in qualcosa e chi non crede, spesso, vive male il fatto stesso di non credere”. Da qui invita a “trascurare i beni terreni, che sono certi ma limitati, per aspirare al bene ultraterreno, che è oggetto di fede e di speranza, ed è infinito”. Come non citare, infine, il greco Ippocrate e padre della medicina, che nel suo giuramento (giuramento che medici ed odontoiatri prestano prima di iniziare la professione) sottolinea la sua volontà al rispetto della vita umana: “Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo”. Giuramento, anche se ancora attuale, poco considerato da un buon numero di medici.

Cenni storici sull’Eutanasia

Di Eluana, di eutanasia, di speranza e carità si è parlato ma è importante, quindi, anche vedere il processo storico che ha portato ad una interpretazione errata del termine eutanasia, che oggi, viene riconosciuta da molti come atto di amore: ma da dove nasce questa pratica? Durante la Prima Guerra Mondiale si era assistito ad una impressionante impennata dei decessi dei malati cronici negli istituti di cura tedeschi: 45.000 in Prussia e più di 7.000 in Sassonia. Con molta probabilità la scarsità di cibo causata dal conflitto aveva spinto molti medici ad affrettare la morte di una parte di queste cosiddette "bocche inutili". Per certi versi si era creato in tal modo un terreno favorevole ad una sorta di "indifferenza ed incuranza" alla morte di individui definiti inguaribili. In questo clima trovò terreno fertile la teorizzazione di una "eutanasia di Stato". Lo psichiatra Hoche ed il giurista Binding di fatto svilupparono un concetto di "eutanasia sociale". Il malato incurabile, secondo i due, era da considerarsi non soltanto portatore di sofferenze personali ma anche di sofferenze sociali ed economiche. Hitler avviò un programma che prevedeva l`eliminazione di malati giudicati inguaribili da apposite commissioni mediche. L`operazione fu estesa a persone ricoverate in ospizi e manicomi criminali a discrezione di commissioni di psichiatri, senza l`approvazione o un qualche coinvolgimento dei famigliari nelle decisioni. La morte avveniva per inalazione di monossido di carbonio in uscita da autoveicoli. Le persone coinvolte in queste operazioni (medici e psichiatri), la morte per inalazione di gas, le teorie eugenetiche a fondamento dell`ideologia sono elementi presenti anche nella successiva deportazione nei lager. Il programma di eutanasia condotto verso i bambini disabili venne attuato utilizzando iniezioni letali di scopolamina, morfina e barbiturici. Le enormi quantità di questi medicinali venivano fornite con tutta la discrezione necessaria dalla Ufficio Centrale di Sicurezza del Reich (RSHA) vale a dire dalle SS. In particolare era la Sezione della polizia criminale (Kripo) comandata da Arthur Nebe ad acquisire e spedire il veleno alle cliniche. L`eutanasia degli adulti pose un problema per certi versi nuovo: come uccidere grandi masse di uomini in modo sbrigativo e privo di controindicazioni? La soluzione cadde sull`utilizzo del gas. Nel gennaio 1940 il metodo venne sperimentato per la prima volta nella clinica di Brandenburg. Il direttore della clinica, il dottor Irmfried Eberl gasò per i suoi ospiti 8 malati mentali con pieno successo. Da allora in poi l`uso delle camere a gas camuffate da docce si diffuse. Quando nell`agosto del 1941 l`operazione di eutanasia verso gli adulti venne sospesa il personale e i mezzi tecnici vennero impiegati immediatamente per l`inizio della "soluzione finale". Viktor Brack, il braccio destro di Bouhler, ricorderà così gli eventi al processo: "Nel 1941 ricevetti l`ordine di sospendere il programma eutanasia. Per non lasciar disperdere il personale che in tal modo veniva messo in libertà e per essere eventualmente in grado di riprendere il programma eutanasia dopo la guerra, Bouhler mi invitò - credo dopo averne parlato con Himmler - a mandare questo personale a Lublino e a metterlo a disposizione del generale delle SS Globocnik. Solo molto tempo dopo, verso la fine del 1942, mi resi conto che veniva impiegato nello sterminio in massa degli ebrei, oramai di pubblico dominio nelle sfere più alte del partito". Così, senza alcuna soluzione di continuità si passò dall`eutanasia allo sterminio di milioni di persone nei campi. Il personale della operazione T4 venne inviato in Polonia dove creò i più terribili campi di sterminio: Treblinka, Sobibor e Belzec. Frattanto l`eutanasia continuò sino alla fine della guerra nei campi, nelle cliniche dove proseguì l`eliminazione dei bambini disabili e attraverso la cosiddetta "eutanasia selvaggia", vale a dire l`eliminazione dei malati senza alcuna autorizzazione. L`eutanasia come l`aborto non eliminano i difetti in se, ma eliminano piuttosto la persona che ha questi difetti orientandosi ad una selezione della razza.

Antonio Degl’Innocenti