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Num. 5 del 17 marzo 2006

Editoriale: Elezioni, candidature,mancate preferenze, lobby ed altro ancora

Il sistema proporzionale è sicuramente quello più vicino al temperamento dei centristi in politica. Dinanzi allo zoppo bipolarismo italico tornare a votare il simbolo del proprio partito valorizza programmi specifici ed identità marcate.
Tuttavia mitizzare la svolta proporzionalista del nostro sistema elettorale, così com’è scaturita dalla recente riforma, sembra eccessivo. Al riguardo sarebbe un errore scambiare il percorso con la meta. La riforma in vigore ha sicuramente imboccato la via giusta, ma il traguardo è ancora lontano.
E’ nostra profonda convinzione che il sistema proporzionale trova il suo completo inveramento solo se abbinato inscindibilmente al voto di preferenza.
L’esperienza toscana delle ultime elezioni regionali insegna che, senza espressione della preferenza per i singoli candidati, le liste sono di fatto consegnate alle segreterie dei partiti.
Ciò sarebbe fisiologico, anzi virtuoso, visto che i partiti sono e debbono rimanere l’architrave della politica italiana, se all’interno degli stessi vigessero le regole della partecipazione degli iscritti, il rispetto della professionalità e dei curricula, la fondamentale logica della democrazia tra le componenti. Purtroppo questo non avviene e, di conseguenza, le segreterie dei partiti, attraverso il meccanismo delle liste bloccate, “eleggono” di fatto i loro rappresentanti nel Consiglio regionale della Toscana e in Parlamento.
La mia esperienza pluriennale nella Commissione Statuto del Consiglio regionale ed in quella elettorale mi ha insegnato che si può dar vita anche al gioco delle parti. Linearità di comportamenti e consequenzialità nel voto non sempre sono premiate. La conclusione che si può trarre è che dietro ai tanti difensori veri del voto di preferenza si sono camuffati furbescamente anche tanti ipocriti, che, alla fine, sono stati o saranno i beneficiati di un voto “blindato”.
Entro questo meccanismo si sono poi inseriti tutti coloro che, gravitando intorno al sistema della politica, usano i partiti per affermare lobbisticamente loro interessi di casta o conventicola attraverso l’inserimento sicuro in lista dell’amico di turno.
Nel prendere atto di questo, dobbiamo maturare tutti la convinzione che la politica intera ed i partiti nello specifico hanno urgente bisogno di una radicale rifondazione. Se ci sarà spazio per un’auto-riforma graduale o piuttosto servirà un’immediata rivoluzione (cioè un drastico “ritorno alle origini”) lo decideranno gli elettori.

Franco Banchi

Il punto: Un tempo per distruggere. Le ultime vicende dell'UDC toscana

Che ormai crediamo superata l’attuale conformazione del centro politico, e che guardiamo con interesse solo al progetto del Partito Popolare Europeo, lo abbiamo detto più volte, ed è uno dei presupposti della nostra iniziativa. Detto questo, non possiamo dimenticare che siamo pur sempre in campagna elettorale. Abbiamo seguìto con attenzione fra l’altro le ultime vicende dell’UDC toscana, e troviamo che le candidature presentate da questo partito per la nostra regione richiedano necessariamente una nota di commento.
Le candidature dell’UDC toscana sono esemplari in quanto dimostrano come NON dovrebbe essere un partito che si richiama a certe radici ideali. Vediamo il perché.
Prendiamo le candidature per la Camera dei Deputati. Ai primi due posti figurano il leader Pier Ferdinando Casini e il segretario nazionale Lorenzo Cesa, tributo – a quanto sembra - scontato e del resto quasi generale alla personalizzazione dei partiti etc.
Al numero 3 troviamo il nome di Francesco Bosi, il quale ha il pregio di essere toscano, e sicuramente l’esperienza, trattandosi della sua terza candidatura, e avendo nell’ultima legislatura cumulato a quella di senatore le cariche di Sottosegretario alla Difesa nonché di Sindaco di un Comune elbano. Dato che Casini e Cesa opteranno per altro collegio, Bosi verrà sicuramente rieletto per la terza volta consecutiva.
Al numero 4 un umbro, il senatore uscente Maurizio Ronconi, candidato anche nella sua regione, ma insomma vogliamo dargli una chance in più: e passi.
Al numero 5 una vecchia conoscenza: Lorenzo Zirri, un passato democristiano e CDU – dal quale fu sospeso -, poi capogruppo forzista in Consiglio regionale, poi assistente del consigliere regionale ancora forzista Paolo Bartolozzi. Questo fino al giorno prima della presentazione delle candidature, quando ha dato le dimissioni da FI per rientrare, appunto, in lista con i vecchi compagni dc. (La sua candidatura ha provocato le proteste della dirigenza regionale di Forza Italia.)
Sesto Antonino Azzarà, capogruppo del partito al Comune di Lucca.
Al numero 7, Franco Banchi; e qui chiudiamo l’elenco che naturalmente prosegue, stavolta con altri candidati toscani, ci dispiace dirlo, come riempitivo.
Questi i fatti. Candidature del genere impongono alcune considerazioni molto semplici.
Primo: per essere candidati UDC in Toscana, essere o non essere toscani non conta poi molto, dato che nei primi posti (quelli in cui si va in Parlamento), i toscani sono in minoranza: uno solo sui primi quattro; e l’unico toscano che è praticamente certo di andarci, ci tornerà per la terza volta consecutiva.
Secondo: aver lavorato o meno per l’UDC nella nostra regione non è un particolare titolo di merito, o non lo è a sufficienza per ottenere una candidatura. Difatti un transfuga di Forza Italia, ed un esponente (sebbene autorevole) di livello locale, passano avanti a uno dei fondatori dell’UDC in Toscana, già consigliere regionale UDC, consigliere comunale da vent’anni etc., ovvero l’amico Franco Banchi.
Terzo: ma se chi è toscano, ed è iscritto all’UDC, e vi ha lavorato magari per anni, viene scavalcato nella candidatura non solo da chi non è toscano, ma anche da chi nemmeno appartiene all’UDC, questo segna un vero punto di svolta e una novità assoluta nella prassi dei partiti politici: quella per cui l’appartenenza ad un partito e la presenza dei militanti sul territorio è irrilevante, perché i candidati provengono da altrove e la loro selezione è decisa dalle segreterie nazionali. In questo caso, iscritti e militanti sono umiliati al rango di manovalanza al servizio di interessi pur legittimi, ma che non li riguardano.
Ma a sua volta, tutto questo – quarto e ultimo – non significa nient’altro che sancire la morte di un partito politico.
Le candidature dell’UDC toscana rappresentano concretamente, nella prassi, non solo la virtuale liquidazione dell’UDC, ma la fine di una concezione del partito politico inteso come una presenza di militanti diffusa sul territorio; e dimostrano che la prospettiva di un nuovo partito è già iniziata nei fatti.
Infine, le candidature toscane dell’UDC tradiscono un’idea: cioè che il cambiamento della società possa prescindere dal coinvolgimento dei settori più ampi possibile della società medesima, e possa avvenire senza il contributo - e il sacrificio - personale dei singoli. Ovvero, quanto di più lontano esista dal pensiero sociale della Chiesa, come abbiamo ricordato in altra sede.

Andrea Poli

L'intervento: Sul messaggio di Benedetto XVI sconciato allo stadio di Firenze

Non ha sorpreso, allo stadio Artemio Franchi di Firenze, il miserabile spettacolo di una amplificazione difettosa che ha sconciato l’ascolto del messaggio di Benedetto XVI al mondo calcistico internazionale nell’occasione della partita Italia-Germania. Non ha sorpreso, perché è proprio di una città strafalciona affrontare malamente un evento di quella portata. Se poi non è stata l’approssimazione delle competenze tecniche, si deve pensare che abbia prevalso una volontà di smorzare, se non irridere, l’alta presenza e l’autorità della parola della Chiesa. Non sorprenderebbe se venissimo a sapere di un’incuria maliziosamente lasciata passare nel non difficile allestimento di un microfono o di un collegamento. Si tratterebbe allora di censura, e di infima goliardia, di colpevole mancanza di rispetto e intelligenza, coerenti con la subcultura dominante a Firenze; e ben integrate dalle gare di bestemmia gestite da un bar della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Ateneo.
Sorprende un poco, invece, che l’équipe dei cronisti abbia provveduto a fare salotto sportivo mentre il messaggio del Papa veniva letto. Senza quel supplemento di chiacchiere si sarebbe potuto, a tratti, intenderne qualcosa. Sorprende ed offende persino, perché un professionismo giornalistico, se più serio di una allestimento arruffone, se non coinvolto (si spera) nel goliardismo anticattolico che aleggia in tutta la vicenda, non poteva ignorare che la sua funzione sarebbe stata quella di raccogliere, riprendere e sottolineare le parole di un messaggio contro il razzismo negli stadi.
L’Eccellenza, e amico, il vescovo ausiliare Claudio Maniago, ha affrontato con coraggioso stoicismo il suo compito di lettore. Chi scrive non ha la saggezza pastorale del suo vescovo, ed ha forse un cattivo carattere; ma si sarebbe rifiutato di dare seguito alla lettura di un testo del Vescovo di Roma irriso da un’attrezzatura degna di una fiera di paese, di fronte ad autorità cittadine palesemente indifferenti. Avrebbe creato un caso. In un quadro di tale indecenza, perfetta espressione del presente e del futuro della cultura civica dominante nella città, è opportuno che glia scandali accadano.

Pietro De Marco