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Num. 1 del 17 febbraio 2006

Editoriale: "Quella Croce Rappresenta Tutti"

Il Consiglio di Stato ha recentemente sentenziato che il crocifisso deve rimanere nelle aule scolastiche.
Questa attesa e storica sentenza non deve essere da noi vissuta come una rivincita confessionale o una sorta di vendetta. Preferiamo vivere questa vicenda come un'operazione di riequilibrio e giustizia culturale.
Infatti, a parte il significato che ha per i credenti, il crocifisso rappresenta il simbolo della civiltà e della cultura cristiana, nella sua radice storica, come valore universale, indipendente dalla specificità confessionale.
Quindi il crocifisso nelle aule per il suo indubbio significato storico-culturale non viola il principio della libertà religiosa e della laicità dello Stato, anzi, per i principi che evoca, fa parte del patrimonio storico consolidato del nostro popolo.
Al riguardo, segnalo una pubblicazione dell'Agosto 2005, edita dall'Associazione Culturale Toscana AREA BIANCA, dal titolo emblematico "Quella croce rappresenta tutti", in cui, in modo completo, si affronta l'argomento dai vari punti di vista: normativo-giuridico, culturale, amministrativo-politico. Il testo, esaurito a mezzo stampa, è integralmente 'scaricabile' sul sito www.areabianca.it, alla voce 'eventi'.
Furono proprio questi stessi motivi da noi introdotti sul tema del crocifisso che, pochi mesi fa, ci portarono a condividere la 'pacifica battaglia', purtroppo perduta, relativa all'inserimento nella Costituzione europea di un esplicito riferimento alle radici cristiane del nostro continente.
E' nostra profonda convinzione che la compagine cristianamente ispirata presente al 'tavolo costituzionale' potesse, al riguardo, fare di più.
Ecco perchè non ci stanchiamo di ripetere che la dimensione europea incarnata dal PPE, se irrobustita idealmente e resa più incisiva a livello operativo, può essere la vera e propria architrave della politica che guarda al futuro.
Promuovere 'dal basso' una rete culturale e politica che si richiama esplicitamente al PPE può imprimere un decisivo colpo d'ala alle prospettive di chi non si stanca di pensare alla 'città dell'uomo' con una progettualità da cristiano.

Franco Banchi

Il punto: Un partito senza democrazia interna è incompatibile con il pensiero sociale cristiano

Com'è noto, e come asserisce la Centesimus annus (1991), l'insegnamento sociale della Chiesa "rispetta la legittima autonomia dell'ordine democratico e non ha titolo per esprimere preferenze per l'una o l'altra soluzione istituzionale o costituzionale". Ciò non significa però che per il pensiero della Chiesa tutte le forme di governo siano equivalenti, dato che esso ha fatto per tempo la sua scelta a favore della democrazia.
I motivi di una tale preferenza sono due. Anzitutto, "la Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno. Essa, pertanto, non può favorire la formazione di gruppi dirigenti ristretti, i quali per interessi particolari o per fini ideologici usurpano il potere dello Stato". In secondo luogo, solo la democrazia permette un esplicito riconoscimento dei diritti umani (ancora Centesimus annus, 46-47).
Il principio in sè, come si vede, non è affatto nuovo. Ciò che risulta del tutto nuovo è invece il modo con cui questa opzione definitiva per la democrazia è stata recentemente riaffermata da Benedetto XVI. Nel discorso alle Acli del 27 gennaio, Papa Ratzinger ha parlato della "consegna" della "fedeltà alla democrazia, che sola può garantire l'uguaglianza e i diritti per tutti. Si dà infatti una sorta di reciproca dipendenza tra democrazia e giustizia, che spinge tutti a impegnarsi in modo responsabile perchè venga salvaguardato il diritto di ciascuno (...). Ciò posto, non va dimenticato che la ricerca della verità costituisce al contempo la condizione di possibilità di una democrazia reale e non apparente: .Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia" (Centesimus annus 46). Di qui l'invito a lavorare perchè cresca il consenso attorno a un quadro di riferimenti condivisi. Diversamente l'appello alla democrazia rischia di essere una mera formalità procedurale, che perpetua le differenze ed esaspera le problematiche".
Le conseguenze di tutto questo nella vita interna di un partito che ambisca a rappresentare le istanze dei cattolici, ed anche dei laici e dei liberali non laicisti, sono del tutto evidenti, ma proviamo a esplicitarle brevemente.
La prima è che un partito che funzioni senza procedure democratiche, e senza una pratica reale di valori, non può essere considerato compatibile con il pensiero sociale cristiano, anche se si fregiasse di simboli, distintivi ed etichette cattoliche, con o senza virgolette.
La seconda riguarda "la formazione di gruppi dirigenti ristretti", i quali si muovono "per interessi particolari": ci si chiede se una tale circostanza non sia ravvisabile anche nella vita interna di un partito, che magari si fregia della definizione di "democratico" e di "cristiano", e magari anche di "unione". Se così fosse, avremmo a che fare con "gruppi dirigenti" che strumentalizzano un pensiero e magari una tradizione "per interessi particolari".
Una strumentalizzazione del genere però sarebbe facilmente smascherabile, per il semplice motivo che la dottrina sociale cristiana, contro questo genere di strumentalizzazioni, ha sviluppato degli specifici anticorpi. Di questi anticorpi, con qualche esempio concreto, è nostra intenzione continuare ad occuparci nei prossimi interventi, cercando di non tediare eccessivamente i nostri amici.

Andrea Poli

L'intervento: Il RapportoItalia2006 dell'Eurispes. Un popolo cristiano tra fedeltà e disobbedienza?

La formula adottata dalla "Stampa" di Torino (del 18.1.2006) nel paginone dedicato al Rapporto Italia 2006 dell'Eurispes, compendia bene cosa la stampa nazionale abbia considerato, fuggevolmente, "notizia": Sondaggio shock dell'Eurispes. Un "popolo cristiano" poco praticante e disubbidiente su temi come la procreazione. Al "popolo cristiano" si faceva dichiarare: "Sono cattolico, ma dico sì ai PACS". Uno sguardo più attento alla documentazione fornita dall'Eurispes ai giornali avrebbe colto altre cose, non così adatte ad esorcizzare il temuto ascendente della chiesa e dell'episcopato cattolico sull'opinione pubblica. Vediamo.
Il dato iniziale è in certo modo il più rilevante: l'87.8 degli intervistati si dichiara (o accetta di potersi definire) "cattolico credente". Un dato importante; esso investe per la quasi totalità le distinte figure di "religiosità" individuate (e variamente denominate) dalla ricerca socio-religiosa italiana in questi decenni e le riconduce ad una plausibile comunanza "cattolica". I sociologi suddividono un universo di poco superiore (il 91,1% della popolazione italiana sopra i 18 anni) in almeno due grandi gruppi, "religione di chiesa" e "religione diffusa" e in cinque tipi di religiosità (due tipi di religione di chiesa e tre di religione diffusa), secondo un criterio di progressivo distanziamento, nella fede e nella pratica, dalla conformità cattolica. Per esemplificare, adottando la terminologia proposta da Roberto Cipriani, ricordo che le percentuali (nazionali) erano, alla metà degli anni Novanta, le seguenti: 9,4 (religione di chiesa primaria, o orientata), 22,6 (religione di chiesa secondaria, o riflessiva), 16,5 (religione diffusa, o modale, primaria), 21,6 (religione diffusa intermedia), 21,0 (religione diffusa perimetrale), 8,9 (non-religione). Ricerche posteriori non alteravano questo profilo. Sono specialmente i valori percentuali dei due aggregati principali, che oscillano rispettivamente tra 30 e 33% e attorno al 60%, ad essere confermati. Per buone ragioni credo (le differenze tra religione di chiesa secondaria e religione diffusa primaria non costituiscono il vero scalino in quella che si chiama anche religione continua), preferisco considerare la religione diffusa primaria come figura "perimetrale" della religione di chiesa. Percentualmente abbiamo (sempre sui dati 1995) un importante aggregato pari al 48,5; ad esso corrispondeva un 54,1 nell'area meridionale (1998). Il confine del 50% (con rilevanti oscillazioni) resta, a mio parere, un migliore punto di riferimento per l'analisi.
Conseguentemente, i due tipi di "religione diffusa" più lontani dalla religione di chiesa oscillano attorno al 40% (nel 1995 il 42,5%) del campione. Bisogna ricordare che per questa area, con una segmentazione diversa, erano state proposte sottili tipologie (Arnaldo Nesti): con uno slittamento da "cattolico a modo mio", progressivamente, a "cristiano", "religioso a modo mio", "dubbioso" (anche Simona Scotti, 2002, per l'alto Mugello). Ora, la grande area dei "cattolici-credenti" (87,8%) proposta dall'istantanea del Rapporto Eurispes include tutte queste aree, anche le figure di religiosità individuate, e connotate, come disomogenee dalla credenza cattolica. Per la verità che queste forme di religiosità non dovessero essere viste come realmente "esterne" alcuni dubitavano. L'Eurispes mostra, dunque, come l'intervistato possa adattarsi a connotazioni diverse della propria "religiosità"; ma ciò che conta è che egli non rifiuta (almeno oggi) in percentuale altissima la denominazione di "cattolico-credente". Non casualmente il 12,2 che si sottrae a questa determinazione (ovvero i "no" alla domanda secca:"Lei è cattolico credente?") può essere fatto corrispondere alla somma del nucleo variabile (al di sotto del 10%) dei non-credenti, più una ridottissima percentuale di "dubbiosi", e di credenti non-cattolici o non cristiani.
Il dato Eurispes nega, sia pure problematicamente, alcune accezioni della formula "siamo minoranza" presenti nella nostra cultura; quelle tentate da un ripiegamento comunitaristico e da una conseguente pastorale da "minoranza", appunto, senza respiro pubblico e senza universalismo. Il dato invita, inoltre, a ponderare meglio la dialettica di "fedeltà" e "disobbedienza" esibita ad effetto nel Rapporto stesso e nei media: i punteggi percentuali delle risposte al questionario debbono essere, infatti, ponderati a partire dalla premessa che l'universo dei "cattolici" di cui l'Eurispes si riferisce è, appunto, pari al 88% dell'universo di popolazione adulta.
Due esempi. La valutazione dell'intervento pubblico della Chiesa (se ecceda o meno il dovuto), e l'importanza attribuita ai sacramenti. Quanto al primo, il campione si comporta in maniera diversa se in rapporto alle questioni etiche, o alle questioni socio-politiche. Per l'intervento in ambito etico-bioetico il giudizio di "eccesso" riguarda un 42,5% a fronte di un 51,5% di favorevoli: 41,6 "nella giusta misura", 9,9 "meno di quanto dovrebbe". Per l'ambito civile-politico sale al 44,6 (a fronte del 48,8%: 37,6 più 11,2). Ovvero, vi è maggiore (e in effetti bipartisan) "resistenza" di fronte agli interventi su devolution, scuola privata e simili, che non a quelli in materia bioetica. Comunque, persiste un nucleo di opinione pubblica favorevole attorno al 50%. La percentuale fa intravedere, a mio avviso, una sostanziosa convergenza tra il nucleo più ampio della religione di chiesa (più la regione diffusa primaria), di cui si è detto, e l'area di opinione pubblica che approva l'azione pubblica della chiesa.
Quanto ai valori percentuali che misurano l'importanza attribuita ai sacramenti (battesimo, confessione, eucaristia, cresima, matrimonio) essi sono relativamente uniformi, salvo per il caso della confessione. Se sommiamo i valori per le due risposte "abbastanza" e "molta" (importanza) abbiamo: 86,8 battesimo; 81,7 eucaristia; 78,3 cresima; matrimonio 85,3. Il 65% per confessione. In altri termini oltre l'80%, che include una quota dei membri del religioso diffuso più "distante", "attribuisce importanza" ai sacramenti. Il battesimo e il matrimonio-sacramento, in particolare, sono considerati "importanti" dalla quasi totalità di quanti si dichiarano cattolici-credenti, comprese cioè le aree di non pratica e di ridotta credenza.
Abbiamo di fronte, dunque, qualcosa di più dinamico, e più a geometria variabile, di quanto supponga l'enunciato corrente che afferma: i "cattolici" (nell'accezione della maggioranza cattolica della popolazione italiana) apprezzano la Chiesa, ma si riservano autonomia nel politico e nel privato (etico). In effetti il "consenso", ma dovremmo dire il "sentire cattolico", appare specialmente forte e costante (con poche cadute) in quel corpo del 50%, tra praticanti assidui e semi-praticanti, che affiora dai dati. Non è poco, non è "minoranza", anche perchè cresce facilmente a percentuali più alte. La variabilità dell'accordo e del disaccordo (sempre relativa a percentuali alte) con la Chiesa ha, piuttosto, un andamento segmentato e fluttuante. Nel riferimento vitale alla Chiesa il "popolo cristiano" del 87,8% non distingue troppo geometricamente tra foro della coscienza e beni sociali, tra carità e politica, e sembra disposto a concedere molto alla legittimità della sua guida. Mostra anche impressionanti flessioni. Bisognerà sapervi riflettere.

Pietro De Marco

il presente articolo è stato pubblicato sul settimanale "Toscana Oggi" del 27 gennaio 2006