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IL GIGLIO BIANCO

Giornale Settimanale del PTE

Anno III, n. 33 - V Settimana di Maggio 2014

PERCHE' RENZI NON PUO' ESSERE L'EREDE DELLA DC

A commento degli ultimi risultati elettorali sono state fatte infinite considerazioni, alcune, ci sembra,a sproposito. Quella più clamorosa concerne il paragone tra il “nuovo” PD di Matteo Renzi e la Democrazia Cristiana. A nostro parere, non è certo sufficiente aggiungere l'aggettivo in questione per essere abilitati a sovrapporre il partito dell'attuale Presidente del Consiglio alla DC. Potremmo tagliar corto, attraverso una facile scorciatoia, e chiudere la querelle appellandoci direttamente al Matteo nazionale, che, più e più volte, ha affermato di essere un post-democristiano e, quindi, di non avere niente a che fare con la storia dello scudo-crociato.

Ma noi preferiamo articolare un più lungo ragionamento che “smascheri” tale sciocchezza mediatica, storicamente infondata, passando dalla strada maestra.

Innanzitutto il PD di Renzi, e non da molto, ha ufficialmente aderito al Partito Socialista Europeo. E' quasi un paradosso, fra l'altro macroscopico: con i segretari (ex-PCI) il PD si era tenuto alla larga dall'approdo socialista; ci voleva proprio un ex-PPI e Margherita per introdurre il partito in una famiglia storicamente e politicamente alternativa a quella cristiano-democratica e popolare europea.

Certo Matteo è stato abile nel nascondere quanto più possibile questa opzione dirimente durante la campagna elettorale. Ma i fatti, prima o poi, pesano come macigni e diventano storia.

Procediamo nel nostro ragionamento. Nonostante il suo “neutralismo” etico, che, evidentemente,lo porta a non ritenere conveniente voltare totalmente le spalle alla sua formazione cattolica, Renzi aderisce, sia come idee che come applicazione pratica, ad una cultura prevalente (ben più forte di quella partitica) che ha pochissimo a che fare con il patrimonio antropologico cristianamente ispirato. A nostro parere, quello di Renzi (e prescindiamo da ogni opzione interiore) è un clamoroso “indifferentismo” in relazione ai valori fondanti il personalismo comunitario. Per far breccia nel cospicuo bacino elettorale delle “terre di mezzo”, il Segretario del PD ha scelto la via dell'ecumenica tolleranza (leggi relativismo), che, purtroppo fa rima con invisibilità. In altre parole i valori dell'ispirazione cristiana sono totalmente mimetizzati da risultare invisibili. Per una politica di ispirazione cristiana questo è un “balzello” inaccettabile da pagare.

Ma portiamo avanti le nostre tesi. Il metodo del Presidente del Consiglio poggia su un abile e scaltro pragmatismo. Più che ad un ordito, il suo procedere assomiglia ad un fare che accumula e sovrappone esponenzialmente interventi ad altri interventi. Usando una metafora che fu del grande F. Bacone, Renzi ha la frenesia delle formiche più che il raziocinio ponderato dei ragni.

A parte le metafore prese in prestito dal mondo naturale, quello che manca a Matteo Renzi non è un progetto (ne sforna a decine), ma IL PROGETTO. Con La Pira potremmo dire che manca di “una visione architettonica della politica”. Non dimentichiamoci che De Gasperi anteponeva la “ricostruzione morale” a quella economica e materiale, parlando a ripetizione di “idee ricostruttive”. Come dire che la politica, con le sue necessarie realizzazioni pratiche, postula fondamenta solide. La politica ha bisogno soprattutto di sostanza e non vive a lungo solo di accidenti, con la loro dimensione contingente.

Strano erede della DC questo Renzi, che lascia nel congelatore le idee ed i principi di cui abbiamo parlato prima ed adotta, lancia in resta, la filosofia della prassi, cara al vecchio Karl Marx, secondo il quale ha ragione non chi è fedele alla verità ed ai principi, ma chi esce vincitore dalla dialettica storica. Hegel aveva chiamato cinicamente questo fenomeno ASTUZIA DELLA RAGIONE.

Ed ancora: c'è in Renzi un sottofondo “giacobino”, che rimanda al fautore della democrazia diretta, J.J. Rousseau. E' il richiamo, neanche tanto implicito, alla VOLONTA' GENERALE, che non è la somma delle volontà sommata dei singoli cittadini, ma la quintessenza dello spirito del popolo. Come se chi incarna tale volontà ottenesse dal popolo qualcosa in più della delega revocabile, quasi una forza taumaturgica.

La Democrazia Cristiana aveva invece la cultura, sicuramente più faticosa, della mediazione, che solo a volte (vedi ultima fase della sua vita politica) si tramutava in compromesso al ribasso. Per molti decenni proprio questo stile è stato la propedeutica verso sintesi alte e nobili.

La DC, in bene ed in male, era un mini-parlamento, in cui si confrontavano dialetticamente tutti i mondi della società italiana. La sintesi non era mai pre-costituita, avveniva quasi sempre a posteriori. Lo stile di Renzi, per i motivi che abbiamo evidenziato, ci sembra molto, molto lontano da tale paradigma.

Era da questa dialettica di partito a 360° (a volte di e tra correnti) che, entro la DC, nasceva la progettualità politica, nella distinzione, oggi quasi sparita, tra elaborazione di partito e traduzione di governo.

Noi vediamo in Matteo Renzi un leader forte, molto forte, ma solo, molto solo. Sarà un vantaggio viste le logiche assai sbrigative della politica di oggi? La DC aveva una costellazione di leader, magari antagonisti, ma che tenevano realmente viva la dialettica politica. Quella della DC è stata una storia di forza corale e non di forza “solitaria”. Proprio per questo ed anche per questo considerare Matteo Renzi il leader di una nuova DC è fuorviante, sbagliato, anti-storico.

FRANCO BANCHI